Questo articolo è stato scritto da Chris Anderson, fondatore di 3D Robotics, il 14 Settembre 2015 su Hackaday ed intitolato “LET SKYNET BECOME SELF-AWARE!”. Abbiamo voluto tradurlo e riportarlo perchè questo è uno di quegli articoli che dovrebbe leggere ogni persona che pilota un drone, dal principiante al più esperto. Vediamo quante persone capiranno la citazione su Terminator 😉
Non molto tempo fa, era difficile volare. Dimenticate aeromobili con equipaggio reale e licenze per piloti; anche volare aeromodelli richiedeva ore di pratica, spesso sotto la guida di un maestro ad un campo di volo. Ma insieme a quella formazione si imparava una serie di regole per un volo sicuro, compreso volare in un’area designata e fare attenzione agli ostacoli.
Abbiamo accidentalmente incasinato tutto. Noi del settore dei droni abbiamo trasformato i multirotori in dei velivoli super facili da pilotare, forse anche troppo. Grazie a piloti automatici intelligenti e GPS, è possibile comprare un drone, aprire la scatola, scaricare un app e premere “decolla”. Il drone a quel punto salirà in aria e attendererà fermo per ulteriori istruzioni; nessuna abilità richiesta. E lo farà anche se vi capita di essere in uno stadio di calcio nel bel mezzo di una partita importante. O vicino ad un aeroporto. O nel mezzo di un incendio boschivo.
Il problema è che assieme alla non-formazione sul pilotaggio di un drone, abbiamo inavvertitamente anche tolto il processo educativo di apprendimento per un volo sicuro e responsabile. Certo, i produttori di droni includono tutti i tipi di allarme e avvisi nei manuali di istruzioni (che la gente non legge) e nelle app, e aziende come DJI e 3DR includono restrizioni di base “geofencing” per cercare di mantenere gli operatori al di sotto di 400 piedi e in “linea di vista”. Ma non è abbastanza.

Se la gente non comincerà ad usare la testa, presto i nostri quotidiani saranno pieni di notizie del genere
Ogni giorno ci sono sempre più segnalazioni di operatori che se ne fregano e non rispettano queste restrizioni, volando nei pressi di aeroporti e aerei di linea, sopra gli stadi, e interferendo forze di polizia e addirittura primo soccorso. Finora non è finita in tragedia (o quasi), ma continuando di questo passo succederà. E nel frattempo, tutto ciò sta causando disinformazione e paura dei droni tra le persone. Io chiamo questa epidemia (per lo più involontaria) “stupidità di massa”. E più i droni prenderanno piede tra la gente comune, più le probabilità che le persone facciano cose stupide aumenteranno.
Dobbiamo fare qualcosa in proposito prima che i governi lo facciano per noi, con restrizioni che sotterreranno i numerosi e buoni utilizzi dei droni. La realtà è che la maggior parte degli operatori di droni che vanno nei guai non sono “cattivi” e molte volte non sanno nemmeno che ciò che stanno facendo sia irresponsabile o addirittura illegale. Chi può biasimarli? È diabolicamente difficile capire la miriade di norme e regolamenti statali e locali, che cambiano di giorno in giorno e anche in base alle regole della “distribuzione dello spazio aereo”. Molti proprietari di droni non sanno nemmeno l’esistenza di tali regole.
I droni dovrebbero conoscere le regole di ogni area
Per fortuna, non ne hanno bisogno. I droni potrebbero essere ancora più intelligenti, abbastanza intelligenti per sapere dove dovrebbero e non dovrebbero volare. Poiché i droni moderni sono collegati al telefono, sono anche collegati al cloud. Ogni volta che si avvia la loro app, quest’ultima potrebbe controllare e trovare le norme adeguate per il volo nella zona esatta in cui ti trovi.
Ecco come funziona: l’applicazione invia quattro campi di dati ad un servizio di cloud: chi (identificatore operatore), che cosa (identificatore aerei), dove (GPS e altitudine della posizione), e quando (sia in questo momento o un orario programmato nel caso di missioni autonome). Il servizio cloud quindi restituisce una “luce rossa” (volo non consentito), una “luce verde” (volo consentito, con restrizioni di base come la quota massima), o “luce gialla” (restrizioni o avvisi aggiuntivi, che possono essere spiegati all’operatore nel contesto e nel punto di utilizzo).
In questo momento gruppi industriali come Dronecode Foundation, Small UAV Coalition e produttori individuali come 3DR e DJI stanno lavorando su questi standard e API per un “volo sicuro“. Nel frattempo, un certo numero di aziende come Airmap e Skyward stan costruendo i servizi cloud per fornire un servizio di dati up-to-date per terze parti, che ogni produttore può utilizzare. Si inizierà con i dati delle no-fly zones statiche come la vicinanza agli aeroporti, parchi nazionali, ed altri luoghi dove lo spazio aereo è vietato. Sarà molto facile e rapido aggiungere dati dinamici come incendi boschivi, eventi pubblici, e vicinanza ad altri velivoli.
(Per ulteriori informazioni, si può leggere un articolo scritto da un gruppo di lavoro di Dronecode qua e un testo di livello alto qui.)
C’è sempre un problema
Naturalmente, questo sistema non è perfetto. È solamente buono come i dati che utilizza, il che è ancora piuttosto irregolare in buona parte del mondo, e non tutti i fabbricanti di droni implementano tali restrizioni. Alcuni produttori di droni potrebbero scegliere di trattare qualsiasi area a 5km da un aeroporto come area di divieto e vietare qualsiasi volo in quella zona, anche a costo di aver contro clienti furiosi che non avevano la minima idea che fosse vietato quando hanno comprato quel giocattolo a Walmart, Euronics o Apple Store (e sopratutto non dovrebbe nemmeno sorgere un’idea del genere, visto che è solamente un “giocattolo“). Altri produttori possono scegliere di fare una restrizione più graduata per il bene della facilità d’uso, aggiungendo un livello di sfumatura che non è nel regolamento ENAC/FAA. Potrebbero vietare, per esempio, il volo da un miglio da un aeroporto, ma solamente se l’altitudine supera gli 80m…
Questo è un primo passo ragionevole. Ma il sistema di sicurezza di volo finale andrebbe molto oltre. In sostanza si tratterebbe di estendere il sistema di controllo del traffico aereo internazionale a milioni di aerei (ci sono già più di un milione di droni consumer in aria al momento) volati da tutti, dai bambini ad Amazon. L’unico modo per farlo è quello di lasciare che i droni si regolino da soli (sì, lasciate che Skynet diventi consapevoli di sé stesso).
Controllo del traffico aereo Peer-To-Peer
Si torna indietro nel tempo quando si parla di traffico del traffico aereo peer-to-peer: il WiFI. Siamo nel 1980, la FCC rilascia uno spettro nella banda a 2,4 GHz per l’uso senza licenza. Un decennio più tardi, i primi standard 802.11 per il WiFi vengono rilasciati, che era basato su alcuni principi comuni anche alle applicazione di droni.
- Lo spazio aereo utilizzato non è altrimenti occupato da operatori commerciali
- Il potenziale di danno è basso (nel caso di Wi-Fi, bassa potenza di trasmissione. Nel caso di droni, energia cinetica bassa a causa delle restrizioni di peso della categoria “micro”)
- La tecnologia ha la capacità di auto-distribuire lo spazio aereo osservando chi altro lo sta utilizzando e scegliendo un canale/percorso che eviti le collisioni.
Il sandbox a “spettro aperto” creato dalla FCC, ha creato anche una nuova massiccia industria intorno al WiFi. Ha dato il wireless nelle mani di tutti e spostato il monopolio dai precedenti proprietari, come gestori telefonici. Il resto è storia.
Possiamo fare la stessa cosa con i droni. Creiamo una innovazione “sandbox” con minimi ostacoli normativi per piccoli UAV che volano all’interno di ambienti molto vincolati. I parametri della sandbox potrebbero essere qualsiasi cosa, fino a quando sono chiari e precisi, ma dovrebbero essere basati sull’energia cinetica e distanza (un limite di 2 kg e 20 m/s a 100m di altitudine e 1.000m in linea di visione sarebbe un buon punto di partenza).
Come nel caso dello spettro aperto, in applicazioni relativamente a basso rischio, come i micro-droni, la tecnologia consentirebbe di auto-distribuire lo spazio aereo, senza bisogno di esclusioni di monopolio, come le licenze esclusive o i permessi normativi.
Come? Lasciando che i droni riportino la loro posizione utilizzando le stesse reti cellulari che hanno usato per ottenere il permesso di volare in primo luogo. La FAA ha già uno standard per questo, chiamato ADS-B, che si basa su un transponder presente in ciascun aeromobile che segnala la propria posizione. Ma questi transponder sono costosi e inutili per i piccoli droni, che già comprendono la loro posizione e sono collegati al cloud. Potrebbero invece usare un “ADS-B virtuale” per segnalare la propria posizione attraverso la rete cellulare, e tali dati andrebbero a far parte degli stessi servizi dati di cloud utilizzati per verificare se il loro volo era sicuro in primo luogo.
Solamente una volta che tutto ciò funzionerà avremo una vera rivoluzione. Droni autonomi e costantemente collegati al cloud farebbero all’industria aerospaziale ciò che il WiFi ha fatto all’industria delle telecomunicazioni. Saremo in grado di occupare i cieli, e farlo in modo sicuro. La tecnologia può risolvere i problemi che crea.
Questo è ciò che stanno cercando di portare a termine aziende come NASA, Google, Verizon e Amazon. A tal proposito vi lasciamo tre nostri precedenti articoli:
NASA e Verizon assieme per creare una rete di sorveglianza per droni
Amazon Svela Il Suo Modello Di Controllo Del Traffico Di Droni
Costruzione Di Una Rete Di Monitoraggio Per I Droni